In coda verso dove
Bentrovati nel secondo decennio del terzo millennio. Veniamo da lontano, guardate da quanto, potremmo anche incamminarci in una direzione che non sia quella dell'outlet. La notizia delle decine di chilometri di coda, ieri, in direzione dei centri commerciali di periferia è coerente con lo spirito del tempo: il paese è guidato da un uomo che si alza dal letto per mostrarsi in pubblico in un ipermercato della Brianza. Almeno lui non ha fatto la fila. Per stare in coda devi essere obbligato o deve valerne la pena: stare tre ore in coda dentro una macchina col motore acceso (che consuma benzina e buca l'ozono, che fa tirare schiaffi alla cieca ai ragazzini seduti dietro, che tampona, che al parcheggio non c'è posto) da quale tipo di sconto su un telefonino deve essere compensato? Qual è la cifra che ripaga le sei ore di andata e ritorno: venti euro, trenta, cinquanta? Non lo capisco, difatti sono in minoranza. Preferisco restare ferma e guardare fuori leggendo. Oggi Goffredo Fofi, per esempio. Il primo sabato del 2010 è un buon giorno per alzarsi in punta di piedi e guardare fuori dai confini il mondo come gira e dove va. Fofi scrive di Welcome, un bel film francese che non ha avuto successo in Italia. Non molto, almeno. È perché non bara, lui scrive: non fa retorica né ricatti. Parla di stranieri, di gente diversa da noi che vive con noi. Ne parla anche questo giornale, oggi, lungamente: pazienza se non è un tema da far impennare le vendite, se anzi in politica - come dice più d'uno anche a sinistra - fa perdere voti. Proprio per questo, a dispetto di questo, se ne parla. Il Parlamento ha rinviato a dopo il voto regionale la legge che, tra le altre cose, dà la cittadinanza italiana ai bambini nati in Italia. Il nostro tempo è scandito dalle tornate elettorali. Ricordate quando Noemi Letizia diceva: potrò dire la verità sul (falso) fidanzato solo dopo il voto? È così: per le questioni epocali e per quelle inessenziali. Dopo il voto, non sia che lo influenzi. Il peggior errore recente di Berlusconi secondo lui: aver annunciato la cessione di Kakà alla vigilia delle urne. Ora: in che modo dare la cittadinanza a chi nasce in questo paese possa favorire un partito o un altro è materia per gli appassionati del ramo, gli stessi che non sembrano capaci di indicare piuttosto candidati efficaci alle elezioni medesime. Il mondo intero va in una direzione che non è la nostra. Ci andrà comunque, anche senza di noi. Leggete cosa scrivono Dijana Pavlovic di suo figlio, Amilda Ibrahimi di se stessa nelle pagine che seguono. Escludere dai diritti per principio, dalla nascita: questo fa il nostro paese. Certo che debbono esserci dei criteri: allora discutiamo di quelli. Anche se si rischia di perdere il voto di chi vive nella paura e nell'egoismo, di scoprire sacche di leghismo inconsapevole in zone politiche fuori sospetto. Scrive Fofi: «Se ogni famiglia italiana invitasse a pranzo ogni tanto uno straniero non poche diffidenze crollerebbero, ma noi siamo un popolo molto ipocrita e questo succede di rado. Siamo pigri e televisivi, pratichiamo voluttuosamente la menzogna, mentiamo anche a noi stessi. Siamo convinti di essere belli, simpatici, generosi, e perfino, alcuni, "di sinistra", mentre siamo tutto il contrario: stranieri a noi stessi, siamo noi gli stranieri che fanno paura».
Concita De Gregorio
Bentrovati nel secondo decennio del terzo millennio. Veniamo da lontano, guardate da quanto, potremmo anche incamminarci in una direzione che non sia quella dell'outlet. La notizia delle decine di chilometri di coda, ieri, in direzione dei centri commerciali di periferia è coerente con lo spirito del tempo: il paese è guidato da un uomo che si alza dal letto per mostrarsi in pubblico in un ipermercato della Brianza. Almeno lui non ha fatto la fila. Per stare in coda devi essere obbligato o deve valerne la pena: stare tre ore in coda dentro una macchina col motore acceso (che consuma benzina e buca l'ozono, che fa tirare schiaffi alla cieca ai ragazzini seduti dietro, che tampona, che al parcheggio non c'è posto) da quale tipo di sconto su un telefonino deve essere compensato? Qual è la cifra che ripaga le sei ore di andata e ritorno: venti euro, trenta, cinquanta? Non lo capisco, difatti sono in minoranza. Preferisco restare ferma e guardare fuori leggendo. Oggi Goffredo Fofi, per esempio. Il primo sabato del 2010 è un buon giorno per alzarsi in punta di piedi e guardare fuori dai confini il mondo come gira e dove va. Fofi scrive di Welcome, un bel film francese che non ha avuto successo in Italia. Non molto, almeno. È perché non bara, lui scrive: non fa retorica né ricatti. Parla di stranieri, di gente diversa da noi che vive con noi. Ne parla anche questo giornale, oggi, lungamente: pazienza se non è un tema da far impennare le vendite, se anzi in politica - come dice più d'uno anche a sinistra - fa perdere voti. Proprio per questo, a dispetto di questo, se ne parla. Il Parlamento ha rinviato a dopo il voto regionale la legge che, tra le altre cose, dà la cittadinanza italiana ai bambini nati in Italia. Il nostro tempo è scandito dalle tornate elettorali. Ricordate quando Noemi Letizia diceva: potrò dire la verità sul (falso) fidanzato solo dopo il voto? È così: per le questioni epocali e per quelle inessenziali. Dopo il voto, non sia che lo influenzi. Il peggior errore recente di Berlusconi secondo lui: aver annunciato la cessione di Kakà alla vigilia delle urne. Ora: in che modo dare la cittadinanza a chi nasce in questo paese possa favorire un partito o un altro è materia per gli appassionati del ramo, gli stessi che non sembrano capaci di indicare piuttosto candidati efficaci alle elezioni medesime. Il mondo intero va in una direzione che non è la nostra. Ci andrà comunque, anche senza di noi. Leggete cosa scrivono Dijana Pavlovic di suo figlio, Amilda Ibrahimi di se stessa nelle pagine che seguono. Escludere dai diritti per principio, dalla nascita: questo fa il nostro paese. Certo che debbono esserci dei criteri: allora discutiamo di quelli. Anche se si rischia di perdere il voto di chi vive nella paura e nell'egoismo, di scoprire sacche di leghismo inconsapevole in zone politiche fuori sospetto. Scrive Fofi: «Se ogni famiglia italiana invitasse a pranzo ogni tanto uno straniero non poche diffidenze crollerebbero, ma noi siamo un popolo molto ipocrita e questo succede di rado. Siamo pigri e televisivi, pratichiamo voluttuosamente la menzogna, mentiamo anche a noi stessi. Siamo convinti di essere belli, simpatici, generosi, e perfino, alcuni, "di sinistra", mentre siamo tutto il contrario: stranieri a noi stessi, siamo noi gli stranieri che fanno paura».
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